Associazione culturale fondata nell’anno 2001

da

Anna Poerio

Carolina Sossisergio Poerio, moglie del barone Giuseppe Poerio, nacque intorno al 1775 da Niccolò Sossisergio, magistrato di Poggiardo della provincia di Lecce e da Carlotta Trompaur, che era stata istitutrice di corte del Granduca Leopoldo I di Toscana. Dopo la precoce morte del padre, Carolina visse insieme con la madre e le sue due sorelle a Napoli sotto la tutela di uno zio, nella casa del quale conobbe il giovane avvocato e fervente patriota Giuseppe Poerio. Subito sbocciò tra i due giovani un amore romantico, nutrito anche dalla lettura delle opere letterarie allora in voga ed in particolare il Werther di Goethe e La nouvelle Heloïse di Rousseau.

Il loro romanticismo non era soltanto esaltazione verbale di reminiscenze letterarie, ma pienamente vissuto tra le più rischiose prove e i più forti dolori che la vita aveva loro riservato. L’epopea di Carolina iniziò nell’anno 1799 quando, giovane fidanzata di Giuseppe Poerio, eroe della rivoluzione napoletana, la condanna dell’ardente giacobino ebbe ripercussioni sulla famiglia Sossisergio. All’entrata dell’esercito del cardinale Ruffo la casa di Carolina fu invasa dai soldati e rischiava di essere saccheggiata perché le sue sorelle durante la Repubblica avevano tagliato i capelli à la Titus, seguendo la moda giacobina. Soltanto Carolina non aveva tagliato i capelli e mostrò ai soldati la lunga chioma dando prova di adesione all’ancien régime e riuscendo così a salvare la sua casa.

Ma ciò non bastò a trarre le donne del tutto in salvo e, quindi, Carolina, la madre e le sorelle per sicurezza furono rinchiuse nel monastero del Consiglio e affidate alla sorveglianza della badessa. Esse, grazie all’indulto, lasciarono il monastero nel mese di maggio 1800. Nel 1801, quando Giuseppe Poerio fu liberato dalla tetra prigione della Favignana, i due fidanzati convolarono a nozze. Dal loro matrimonio nacquero Alessandro (1802), Carlo (1803) e Carlotta (1807). Nel decennio francese, quando a Napoli regnava Gioacchino Murat, Giuseppe Poerio ricoprì cariche prestigiosissime, ma con la Restaurazione borbonica iniziarono di nuovo i travagli della famiglia che fu costretta per due volte all’esilio, dapprima a Firenze (1816-1818) e, successivamente a Graz, Trieste e Firenze (1821-1828).

A Firenze la baronessa Poerio era stimata da tutti ed in particolare dalla contessa d’Albany, che la definì excellente femme. La casa dei Poerio a Firenze divenne il luogo d’incontro dei maggiori letterati ed uomini politici del tempo sia italiani che stranieri. La famiglia Poerio seppe conquistarsi la benevolenza non solo dei napoletani esiliati, ma anche dei fiorentini. Nel 1828 a Carolina, Carlo e Carlotta Poerio fu concesso il permesso di far ritorno nel Regno delle Due Sicilie. Prima di stabilirsi a Napoli, Carolina ed i figli trascorsero un breve periodo a Catanzaro per riordinare il dissestato patrimonio di famiglia, che all’epoca aveva possedimenti nel territorio della Sila. I gravi sconvolgimenti politici ebbero negative ripercussioni sul patrimonio della famiglia Poerio.

Carolina dovette attendere alcuni anni prima di vedere riunita completamente la sua famiglia perché il marito ed il figlio Alessandro nel 1830 furono costretti a lasciare Firenze per andare in esilio a Parigi. Nel 1833 Giuseppe Poerio poté far ritorno a Napoli, mentre Alessandro poté riabbracciare i suoi cari soltanto nel 1835. Considerato maestro tra i penalisti napoletani, dopo il ritorno in patria, Giuseppe Poerio si astenne dalla politica attiva e si dedicò esclusivamente e con ardore alla carriera forense fino a quando la salute glielo permise.

Nel 1843 Giuseppe Poerio morì e Carolina rimase vedova dell’uomo con il quale aveva condiviso tante trepidazioni e tante sventure, ma anche tante nobili gioie. A questa incolmabile perdita seguirono altri eventi tristi che continuarono a straziare il cuore della nobile donna. Iniziarono le persecuzioni politiche contro il figlio Carlo, avvocato di fama e capo del partito liberal moderato napoletano, che fu imprigionato più volte (nel 1837, nel 1844 e nel 1847). Il 1848 fu un anno cruciale per Carolina Poerio e per tutta la sua famiglia: il figlio Carlo stette in prima linea nella lotta politica; il figlio Alessandro, letterato e poeta, partì volontario alla volta di Venezia per combattere contro gli austriaci; il genero Paolo Emilio Imbriani fu deputato e ministro; il cognato Raffaele, rientrato in Italia dopo ventisette anni di esilio, accettò dal governo lombardo il comando di una brigata e si recò all’assedio di Mantova, e il nipote Enrico, il figlio di Leopoldo Poerio, partì da Napoli luogotenente in una battaglia di volontari e fu ferito a Montanara.

In quello stesso anno 1848, purtroppo da Venezia pervenne a Carolina la triste notizia che il figlio Alessandro il 27 ottobre era stato gravemente ferito combattendo a Mestre per l’indipendenza dell’Italia. Alessandro subì l’amputazione della gamba destra, ma ebbe comunque la forza di scrivere alla madre ed al fratello l’ultima sua lettera rassicurando i suoi cari sul suo stato di salute. Ella accolse questa notizia con il coraggio che le era proprio, ma Alessandro morì il tre novembre e fu questo un altro duro colpo per il cuore straziato di Carolina Poerio che non poté più rivedere l’adorato figlio.

Dopo questo grave lutto non ci fu tregua per Carolina. Nel 1849 il figlio Carlo, accusato da un falso testimone di appartenere alla setta l’Unità Italiana, fu imprigionato e condannato, innocente, a languire incatenato per dieci anni nelle torride prigioni borboniche. Eppure ella ebbe la forza di affrontare anche questo ennesimo duro colpo con grande dignità mettendo al primo posto l’onore della famiglia. Carolina, durante il processo, non mancava mai di far visita al figlio nei giorni stabiliti dal regolamento carcerario e spesso gli faceva pervenire le sue amorevoli lettere. Sotto il peso di tali afflizioni e di sacrifici per la Patria, Carolina Sossisergio Poerio visse gli ultimi anni della sua tormentata esistenza e quando ormai la sua vita si stava avviando al tramonto, sul letto di morte, espresse il desiderio di poter rivedere per l’ultima volta suo figlio Carlo, che allora era rinchiuso nel carcere di Montefusco.

A Carlo Poerio fu proposto che se egli avesse fatto domanda di grazia, gli sarebbe stato concesso il permesso di recarsi al capezzale della madre con l’obbligo di accettare la condanna di esilio perpetuo dal Regno. Neanche in quella triste circostanza Carlo volle cedere al ricatto dei suoi persecutori perché fare domanda di grazia significava ammettere di essere colpevole. Egli preferì salvare l’onore. L’11 settembre 1852 Carolina Poerio si spense senza poter avere il conforto né del figlio Carlo, né della figlia Carlotta, che aveva dovuto seguire il marito Paolo Emilio Imbriani in esilio a Nizza.

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